Pubblichiamo un intervento del Consigliere Regionale Sante Zuffada, Presidente della
Commissione III° Sanità e Assistenza sullo 'stato di salute' della Sanità
Lombarda.
In
questi ultimi mesi si è fatto un gran parlare, spesso a sproposito, attorno
alle supposte ‘disfuzioni’ del Sistema Sanitario Lombardo. Polemiche, di
sovente strumentali, che hanno contribuito a sollevare un gran polverone agli
occhi dei cittadini. I fatti, però, sono ben altri e con questo mio intervento
vorrei tentare di riportare a galla la verità.
Il
modello sanitario della Giunta della Regione Lombardia è tutto fuorché un
disastro. Voglio ricordare che tra i primi 10 istituti di ricerca
sanitaria europei, sei sono lombardi (San Raffaele, Policlinico, San
Matteo, Tumori, Ieo, Maugeri) mentre i nostri centri oncologici sono eccellenze
internazionali.
Regione
Lombardia ha investito in 10 anni 4,5
miliardi di euro per costruire 8 nuovi ospedali e avviato 600 interventi
sulla edilizia sanitaria. Non va poi dimenticato che 5 milioni di Lombardi, ovvero, la metà della popolazione, non
pagano il ticket.
La
spesa della Sanità pubblica italiana corrisponde al 7,2 per cento del PIL, in Lombardia questo dato scende al 5,4 per cento.
Un valore assai contenuto, specie se si considera il rapporto costi/benefici.
Non
va, inoltre, sottaciuto il fatto che il finanziamento
pro capite da parte dello Stato, nella nostra Regione è
sottodimensionato rispetto alle altre
Regioni: 500 milioni di euro in meno
all’anno rispetto alla media nazionale, con una spesa sanitaria pubblica
corrente pro capite di 1.758 euro
contro la media nazionale di 1.821 euro.
I nostri tanto criticati Bilanci
sono senza buchi da 11 anni a questa parte. Ossia, da
quando tale obbligo è stato stabilito per legge. In aggiunta a questo traguardo
già considerevole, Regione Lombardia
corrisponde a quasi la metà del Fondo di
Solidarietà a favore delle altre Regioni (nel 2010 il contributo è stato di
4,2 miliardi di euro su un totale di 8,7).
Più
volte si è poi sostenuto che in Lombardia ci sarebbe un numero troppo elevato
di posti letto accreditati per le strutture private. Anche qui alla fine sono i
numeri a parlare da soli: i posti letto
accreditati e attivati sono 39mila, di questi il 21,7 per cento appartiene a strutture private. Un dato che ci
colloca all’ottavo posto a livello nazionale
- siamo meno ‘privatizzati’ della Regione Emilia Romagna – e,
soprattutto, in linea con la media che è del 21,3 per cento.
Mi
piace, poi, citare altre statistiche sul grado di “attrattività” del nostro
sistema sanitario che detiene il primato assoluto nazionale. Che in tanti
vengano a farsi curare in Lombardia – talvolta, non solo da altre parti
d’Italia ma anche dall’estero – è cosa nota. Ma è bene non dimenticarselo mai: nel 2009 (ultimo dato ufficiale disponibile)
il saldo tra ingressi e uscite era di oltre 72 mila unità, l’Emilia Romagna
seguiva con un distacco ‘solo’ del 35%.
Credo
che questa ‘fotografia dell’esistente’ sia importante non solo per rendere
giustizia rispetto ad una campagna mediatica di dileggio a volte feroce e non
onesta intellettualmente parlando, ma soprattutto per porsi nuovi obiettivi per
il futuro.
Senza
dubbio due ambiti sui quali molto è stato fatto ma molto, in prospettiva, si
può ancora fare sono quelli inerenti la
qualità e l’appropriatezza delle prestazioni sanitarie, e la medicina
territoriale. Il primo campo d’azione è perfettamente coerente con le
ultime indicazioni in materia di spending
review giunte dal Governo.
In particolare, dal 2007 al 2010 abbiamo assistito nella nostra Regione ad un calo dei
ricoveri del 18%(passando da 193 mila a 158 mila).
Di
risulta ciò deve significare un forte
impegno a trovare percorsi alternativi ma assolutamente appropriati ed efficaci,
rispetto alle condizioni del paziente.
In
questo senso, ritengo che molto si debba fare rispetto a quel concetto di ‘rete
allargata’ sul territorio nei percorsi
d’accompagnamento socio sanitari d’assistenza al malato.
E
qui mi collego all’altro ambito della
questione, quello della medicina
territoriale.
Ritengo
che la cura della cronicità e lo
sviluppo delle funzioni territoriali degli ospedali rappresentino due tra
le sfide più importanti per il futuro della Sanità contemporanea. Richiedono
approcci e metodologie all’avanguardia, che sappiano coniugare un servizio
efficiente e di qualità con esigenze di controllo di spesa.
Da
questo punto di vista nella nostra Regione sono state già attivate strutture intermedie tra l’ospedale e il
territorio per l’erogazione di cure sub-acute.
L’obiettivo
che, a questo proposito, va portato avanti è quello di riuscire ad assistere
sempre meglio quei pazienti che, pur avendo superato la fase d’instabilità e di
criticità clinica, continuano ad avere bisogno di assistenza.
Secondo
questa logica si sta lavorando nell’ottica di ‘attrezzare’ ospedali medio
–piccoli con sole alcune specialità. Mi viene in mente, guardando al mio
territorio di provenienza, all’ospedale di Cuggiono, dove si è creato un
reparto dedicato ai lungo degenti che hanno superato la fase critica ma che,
comunque, necessitano di un periodo di riabilitazione per la ripresa
definitiva.
Sempre
in ambito di medicina territoriale l’altro campo dove sono notevoli i margini
di miglioramento è quello riguardante una
nuova modalità di presa in carico di pazienti cronici (CREG Chronic Related Group). Una sperimentazione avviata in 5 ASL lombarde che sta dando esiti
positivi, in quanto, permette in anticipo di stabilire una quota di risorse per
ogni categoria di pazienti, garantendo continuità ai servizi extraospedalieri,
garantisce risparmi potendo prevenire eventuali fasi acute della patologia.
Infine, contribuisce in modo significativo a migliorare le condizioni di salute
generale degli assistiti.
Sono
convinto che una volta messo a regime, questo nuovo approccio, potrà essere
esteso a tutto il territorio regionale, consentendo una migliore e più efficace
gestione di tutte le patologie croniche e non solo, all’interno di parametri di
appropriatezza terapeutica e di economicità.
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