Di suicidi non si dovrebbe parlare. Mai. Questo scrive il collega FP sulla testata per la quale scrivo, Ticino Notizie. Questa mattina, in redazione, abbiamo deciso di non scriverne una volta avuta la quasi certezza che si trattava effettivamente di un gesto volontario a proposito di un evento accaduto nel nostro territorio. Entriamo in un campo minato dal quale non ne usciamo più. Cosa fare? Dare la notizia, non darla, darla con i dovuti modi? E quali sarebbero questi dovuti modi? Se una persona finisce sotto il treno cosa scriviamo? Evitiamo di parlare del fatto e scriviamo dei disagi e dei treni fermi? Ma siamo impazziti, dovremmo pur dire perchè i treni sono fermi.
In tanti anni di cronaca nera mi sono imbattuto in decine e decine di casi di suicidio. E tutte le volte mi facevo la stessa domanda. Cosa ne so io di quella persona? Chi era, come si è svolta la sua vita, avrà avuto dei problemi, per diavolo, se ha deciso di farla finita!! Ogni volta era un dramma perchè quelle domande rimanevano, inesorabilmente, senza risposta. Rileggevo quelle due, tre righe nelle quali scribacchiavo che era stata trovata una persona senza vita e non si sapeva il perchè, quando ero certo che aveva voluto lei, quella persona, farla finita. Mentivo sapendo di mentire. Ma la domanda tornava prepotente. Ero certo di che cosa? Di nulla, ecco di cosa ero certo. Di nulla, come al solito. Per non parlare dei sensi di colpa. Ne scrivo e magari c'è chi legge e dal mio articolo trova il coraggio. Il coraggio di cosa?
Oggi più di ieri dobbiamo prestare attenzione a quello che facciamo, noi giornalisti. La gente sui social diventa come un branco selvaggio pronto a tutto. Vogliono sapere chi era quella persona, quanti anni aveva, dove abitava, che problemi aveva. Questo vogliono sapere e se non lo sanno ripetono le domande fino alla nausea. Dopo tanti anni di cronaca l'unica domanda che ancora mi pongo di fronte alle disgrazie è sempre la stessa. Cosa ne so io di quella persona?
In tanti anni di cronaca nera mi sono imbattuto in decine e decine di casi di suicidio. E tutte le volte mi facevo la stessa domanda. Cosa ne so io di quella persona? Chi era, come si è svolta la sua vita, avrà avuto dei problemi, per diavolo, se ha deciso di farla finita!! Ogni volta era un dramma perchè quelle domande rimanevano, inesorabilmente, senza risposta. Rileggevo quelle due, tre righe nelle quali scribacchiavo che era stata trovata una persona senza vita e non si sapeva il perchè, quando ero certo che aveva voluto lei, quella persona, farla finita. Mentivo sapendo di mentire. Ma la domanda tornava prepotente. Ero certo di che cosa? Di nulla, ecco di cosa ero certo. Di nulla, come al solito. Per non parlare dei sensi di colpa. Ne scrivo e magari c'è chi legge e dal mio articolo trova il coraggio. Il coraggio di cosa?
Oggi più di ieri dobbiamo prestare attenzione a quello che facciamo, noi giornalisti. La gente sui social diventa come un branco selvaggio pronto a tutto. Vogliono sapere chi era quella persona, quanti anni aveva, dove abitava, che problemi aveva. Questo vogliono sapere e se non lo sanno ripetono le domande fino alla nausea. Dopo tanti anni di cronaca l'unica domanda che ancora mi pongo di fronte alle disgrazie è sempre la stessa. Cosa ne so io di quella persona?
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