Per la regia
di Riccardo Magherini
Con Francesco
Paolo Cosenza, Maria Eugenia D’Aquino, Annig Raimondi, Antonio Rosti, Riccardo
Magherini
Fino al 21
aprile
Inserito nella
rassegna Invito a Teatro
Questo lavoro all’Oscar Pacta - prezioso scrigno dell'antica arte affidato alla direzione
artistica della impareggiabile Annig Raimondi - è un buon modo, per coloro che siano
alla ricerca del gusto sulfureo della quintessenza teatrale, per ritrovare contenuti e
sapienza scenica.
Bastano pochi elementi giocati con mestiere (e Shakespeare è
il campione del mestiere; non di soli sogni è fatta la scena; ma di artigianato
manuale che tali sogni serve) per rendere un universo.
Un drappo lavorato a patchwork farà una corte; quattro
lenzuoli bianchi scossi dagli stessi attori in corsa e due fari ad
intermittenza faranno una tempesta; una panca farà da trono o da sasso su cui
siede il viandante; un separé farà da guardaroba e cesura per i fuori
scena. Cinque attori (compreso il
regista) faranno dieci personaggi (comprese le comparse di servitori; di corte
nonché di palco).
E proprio di autoinganno ci parla ancora questo Re Lear. Credere
a ciò che lusinga la nostra vanità o disattenzione, esser ciechi per scelta. Ma
l’autoinganno partorisce funesti frutti, e ben lo sa Shakespeare che ce lo
mostra attraverso le vicende di Lear e Conte Gloucester, protagonisti paralleli
nella celebre tragedia di una vicenda di menzogna e tradimento che essi stessi han
provocato non sapendo guardare la realtà, ascoltare le parole per il loro
significato e non per il lusinghiero suono dell’adulazione.
Verranno duramente
colpiti e puniti dagli eventi, fino al riscatto finale (tragico) che li vedrà
inermi e nudi; mondati del vizio che ha portato alla propria ed altrui
distruzione. Stracciate le vesti del potere, rimane la verità della propria
umana debolezza. E così anche la scena
si spoglia dei drappi e rimane nuda, nuda nell’oscurità del destino che
travolge l’uomo che non sa maturare in sapienza. “Non invecchiare senza prima
esser diventato saggio!”, il monito centrale di questo testo elisabettiano,
vecchio (e saggio) di secoli (siamo nel 1606). Saggezza che come sempre il
Bardo Inglese affida alla voce scanzonata del ‘Matto’, fedele accompagnatore (e controparte) del Re. Seppur di un re più insano del suo giullare (“Sciagurati quei
tempi in cui i matti guidano i ciechi!”).
Dunque, come sempre in Shakespeare, indagine nel destino e
nell’animo umano e riflessione sui tempi e la storia si intrecciano e nutrono
di senso vicendevolemente. E la regia di
Magherini non si sottrae, bensì ci rende, questa dialettica e questa chiave
interpretativa.
“Lear,è una Tragedia moderna, - come ricorda il regista Riccardo Magherini -, l’angoscia la
solitudine la disperazione e la follia, il senso del vuoto, dell’illusorietà,della
precarietà della vita, tutto ciò che
lacera la nostra coscienza
vi trova posto. Re
Lear dunque come opera
contemporanea, ma ancor
più, per chi l’affronta,
una montagna immensa, già molte volte scalata, che ancora incute rispetto, timore
e inquietudine perché, tutti lo sanno, lungo le sue vie ancora si possono incontrare
misteri nascosti e verità che non si vorrebbero sapere”.
Una notazione, tra le altre, sulla scelta registica ed attoriale; Rosti
e Magherini interpretano i due protagonisti maschili; come sappiamo la vicenda
vede anche l’allegoria delle tre figlie di Lear, Goneril, Regan e Cordelia; le
prime due assetate di potere e beneficiate dall’abdicazione paterna; la terza
virtuosa in modestia e scacciata dallo stesso Lear. Raimondi e D’Aquino si
incaricano della parte delle prime due. E la terza? La virtuosa Cordelia,
portatrice di verità ed affetto?
Magherini ed il suo team scelgono una ‘terza via’ per mettere in scena
questo personaggio; una via narrativa e suggestiva. La parte di Cordelia è
affidata ad entrambe le bravissime interpreti che non impersoneranno le battute
bensì le leggeranno. Facendo della parte di Cordelia un vero e proprio coro
laterale (laterale anche fisicamente sul palco), smaterializzando il
personaggio e riassemblandolo – a due voci – in una sorta di coscienza o
virtù letteralmente bandita dalle scelte morali di questi uomini
incapaci di conoscere il proprio cuore e di governare il proprio destino.
Anche questa è modernità; una trovata che da sola basta a meritare il
plauso della platea e della critica. Segnaliamo anche l’inserzione di suoni e rumori - a
cura dello studio QuindiQuando (per esempio il chiacchiericcio della
corte, a significare, riteniamo, anche il parlar alle spalle, il tramare, od il
pensiero retrostante alle parole esibite, associato infatti proprio alla
presenza in corte delle sue maligne figlie del re).
Va da sé che le interpretazioni di tutto il quintetto sono ammirevoli.
Va da sé che le interpretazioni di tutto il quintetto sono ammirevoli.
Alessandra Branca
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