IL RE E’ NUDO – RE LEAR AL TEATRO OSCAR PACTA (di Alessandra Branca)


IL RE E’ NUDO – RE LEAR AL TEATRO OSCAR PACTA
Per la regia di Riccardo Magherini
Con Francesco Paolo Cosenza, Maria Eugenia D’Aquino, Annig Raimondi, Antonio Rosti, Riccardo Magherini
Fino al 21 aprile
Inserito nella rassegna Invito a Teatro



La produzione del Teatro Oscar di via Lattanzio osa mettere in scena un'altra pietra miliare della storia del teatro. Bisogna veramente ringraziare questo manipolo di coraggiosi indagatori della scena per l’impavidità nell’affrontare e renderci i grandi classici risparmiandoci stucchevoli voli pindarici di modernizzazioni ammiccanti a chissà quale gusto più adatto ad una Expo del Design che non al parquet di una sala di posa. Un classico è tale proprio perché parla una lingua universale fuori dal tempo e dalla moda, contiene già in sé tutta la modernità che si vorrebbe conferire artificiosamente; modernità sta nel senso, non certo negli apparati di scena.
Questo lavoro all’Oscar Pacta - prezioso scrigno dell'antica arte affidato alla direzione artistica della impareggiabile Annig Raimondi - è un buon modo, per coloro che siano alla ricerca del gusto sulfureo della quintessenza teatrale, per ritrovare contenuti e sapienza scenica.
Bastano pochi elementi giocati con mestiere (e Shakespeare è il campione del mestiere; non di soli sogni è fatta la scena; ma di artigianato manuale che tali sogni serve) per rendere un universo.
Un drappo lavorato a patchwork farà una corte; quattro lenzuoli bianchi scossi dagli stessi attori in corsa e due fari ad intermittenza faranno una tempesta; una panca farà da trono o da sasso su cui siede il viandante; un separé farà da guardaroba e cesura per i fuori scena.  Cinque attori (compreso il regista) faranno dieci personaggi (comprese le comparse di servitori; di corte nonché di palco).
Ecco, arte del teatro. Magia ed autoinganno.

E proprio di autoinganno ci parla ancora questo Re Lear. Credere a ciò che lusinga la nostra vanità o disattenzione, esser ciechi per scelta. Ma l’autoinganno partorisce funesti frutti, e ben lo sa Shakespeare che ce lo mostra attraverso le vicende di Lear e Conte Gloucester, protagonisti paralleli nella celebre tragedia di una vicenda di menzogna e tradimento che essi stessi han provocato non sapendo guardare la realtà, ascoltare le parole per il loro significato e non per il lusinghiero suono dell’adulazione.
Verranno  duramente colpiti e puniti dagli eventi, fino al riscatto finale (tragico) che li vedrà inermi e nudi; mondati del vizio che ha portato alla propria ed altrui distruzione. Stracciate le vesti del potere, rimane la verità della propria umana debolezza.  E così anche la scena si spoglia dei drappi e rimane nuda, nuda nell’oscurità del destino che travolge l’uomo che non sa maturare in sapienza. “Non invecchiare senza prima esser diventato saggio!”, il monito centrale di questo testo elisabettiano, vecchio (e saggio) di secoli (siamo nel 1606). Saggezza che come sempre il Bardo Inglese affida alla voce scanzonata del ‘Matto’, fedele accompagnatore (e controparte) del Re. Seppur di un re più insano del suo giullare (“Sciagurati quei tempi in cui i matti guidano i ciechi!”).
Dunque, come sempre in Shakespeare, indagine nel destino e nell’animo umano e riflessione sui tempi e la storia si intrecciano e nutrono di senso vicendevolemente.  E la regia di Magherini non si sottrae, bensì ci rende, questa dialettica e questa chiave interpretativa.
Lear,è una Tragedia moderna, - come ricorda il regista Riccardo Magherini -, l’angoscia la solitudine la disperazione e la follia, il senso del vuoto, dell’illusorietà,della precarietà della vita, tutto ciò che
lacera la nostra coscienza vi trova posto. Re Lear dunque come opera contemporanea, ma ancor
più, per chi l’affronta, una montagna immensa, già molte volte scalata, che ancora incute rispetto, timore e inquietudine perché, tutti lo sanno, lungo le sue vie ancora si possono incontrare misteri nascosti e verità che non si vorrebbero sapere”.

Una notazione, tra le altre, sulla scelta registica ed attoriale; Rosti e Magherini interpretano i due protagonisti maschili; come sappiamo la vicenda vede anche l’allegoria delle tre figlie di Lear, Goneril, Regan e Cordelia; le prime due assetate di potere e beneficiate dall’abdicazione paterna; la terza virtuosa in modestia e scacciata dallo stesso Lear. Raimondi e D’Aquino si incaricano della parte delle prime due. E la terza? La virtuosa Cordelia, portatrice di verità ed affetto?

Magherini ed il suo team scelgono una ‘terza via’ per mettere in scena questo personaggio; una via narrativa e suggestiva. La parte di Cordelia è affidata ad entrambe le bravissime interpreti che non impersoneranno le battute bensì le leggeranno. Facendo della parte di Cordelia un vero e proprio coro laterale (laterale anche fisicamente sul palco), smaterializzando il personaggio e riassemblandolo – a due voci – in una sorta di coscienza o virtù letteralmente bandita dalle scelte morali di questi uomini incapaci di conoscere il proprio cuore e di governare il proprio destino.

Anche questa è modernità; una trovata che da sola basta a meritare il plauso della platea e della critica. Segnaliamo anche l’inserzione di suoni e rumori - a cura dello studio QuindiQuando (per esempio il chiacchiericcio della corte, a significare, riteniamo, anche il parlar alle spalle, il tramare, od il pensiero retrostante alle parole esibite, associato infatti proprio alla presenza in corte delle sue maligne figlie del re).
 Va da sé che le interpretazioni di tutto il quintetto sono ammirevoli.


Alessandra Branca

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